Nella vita domestica quanto in quella lavorativa, tendiamo a dotarci di tecnologie che utilizziamo in maniera fin troppo compulsiva quanto superficiale; tecnologie che non capiamo del tutto e delle quali non riusciamo a sfruttare appieno il potenziale.
Lo stesso si potrebbe dire per le risorse umane, spesso e volentieri costrittivamente destinate a tediose incombenze burocratiche e amministrative – forse anche perché prive degli strumenti adeguati – piuttosto che a mansioni in cui potrebbero rivelarsi maggiormente efficenti, traendone inoltre appagamento e soddisfazione, il che non è poco.
L’errore cui si va incontro, almeno nella maggior parte dei casi, è quello di accaparrarsi nuove tecnologie supponendo – sperando? – che una strumentazione di ultima generazione o un software evoluto, grazie alla loro semplice presenza, ingenerino automaticamente un “magico” processo di implementazione e ottimizzazione del flusso operativo.
Come diceva il saggio «Le uniche cose certe sono la morte e le tasse» e in un mercato mutevole ed esigente come quello odierno, dove rimanere immobili significa rischiare di soccombere ai dei limiti erroneamente autoimposti o alla propria indole adeguatamente stimolata, anche fare il passo un po’ più lungo della gamba potrebbe condurre a risultati inferiori alle aspettative – soprattutto se si avanza alla cieca – se non, peggio, a ritrovarsi a far la conta dei danni.
Come era quello spot? «Prevenire è meglio che curare…» beh, se va bene per i pazienti altrettanto vale per uno studio odontoiatrico.
Chiediamo alle persone di affidarsi a noi con la promessa di un miglioramento, di uno star bene, e li vediamo uscire dai nostri locali soddisfatti; allora perché non impieghiamo lo stesso principio su noi stessi prima di ritrovarci costretti a subire interventi troppo invasivi o tardivi?
Perché non ci affidiamo a qualcuno che possa aiutarci ad applicare un metodo efficace e produttivo per la nostra realtà?
Ecco, questo è il primo passo per imboccare una direzione di crescita, reale.
Qualsiasi strumento usiamo, se non ne comprendiamo logica e metodo, ne otterremo in cambio – salvo rari casi – uno spreco di tempo, risorse ed energie.
Cosa fare dunque?
Diagnosticare il “nostro” stato di salute, studiare il piano di trattamento adeguato, le progressive fasi di intervento e le relative terapie, e al tutto far seguire un follow-up scrupoloso che ci consenta di alzarci dalla poltrona con il medesimo sorriso che vediamo sui volti dei nostri pazienti… e di mantenerlo!
Possiamo farlo da soli? Davvero? Sappiamo come curare noi stessi? Abbiamo gli strumenti giusti?
Scriverò l’ultima frase fatta per questo articolo, poi basta, lo giuro! «A ognuno il proprio mestiere»… suvvia, con tutto rispetto parlando, il fai da te va bene per un mobile dell’Ikea o per qualche lavoretto in casa, non per una ristrutturazione, non per una riedificazione completa, radicale.
Qui serve un architetto e serve l’evoluzione dello staff di cui parlavo nell’articolo precedente; la formazione di coloro che poi andranno ad utilizzare e a formare – sì, stiamo parlando di I.A. e non è fantascienza, non oggi, non più! – quel software innovativo che perfezionerà i processi extra clinici, amministrativi e burocratici, la gestione dei materiali, del magazzino e dei fornitori, l’implementazione delle funzioni comunicative verso e dai pazienti unite ad una programmazione strategica dell’agenda eseguita autonomamente dall’I.A. per fluidificare il carico di lavoro e massimizzare il rapporto – e i ricavi – orari/poltrone disponibili, autoriprogrammandosi a seconda delle esigenze di odontoiatri e pazienti. E mi fermo qui.
Ci vuole un metodo, sì, perché queste sono tutte realtà possibili e, come gli atomi di una molecola, necessitano di concatenarsi seguendo logiche e schemi precisi senza i quali si sfalderebbero, disperdendosi.
Ci vuole un metodo che unisca l’evoluzione dell’Intelligenza Emotiva in applicazione – e a sostegno – dell’Intelligenza Artificiale, un metodo che predisponga un piano di trattamento appositamente concepito e progettato su misura per ogni singolo studio e che permetta di riallocare risorse ed energie destinandole al posto in cui esse hanno effettiva ragione di venir utilizzate, in una rivoluzione che porta ad ovvi, tangibili benefici.
Lo so, ve l’avevo promesso, ma l’unica conclusione possibile è questa: «Provare per credere!»