I soci professionisti devono essere almeno i due/terzi per numero o quota di partecipazione al capitale sociale oppure è sufficiente che detti soci detengano una maggioranza di due/terzi in relazione alle decisioni assembleari?

Questa è una domanda che può interessare tutte le strutture odontoiatriche che siano già “organizzate” nella forma di Società tra Professionisti ma anche titolari di cliniche che stanno valutando il passaggio ad una organizzazione della propria attività in forma societaria, magari al fine di consentire la partecipazione di collaboratori, componenti familiari (anche per garantire futura continuità alla struttura stessa) o comunque di altri soci ai risultati della stessa.

Il tema sopra proposto è strettamente legato all’interpretazione del (poco chiaro) disposto normativo che consente la partecipazione di soci non professionisti nelle S.t.p..

Nello specifico, l’art. 10, comma 4, della L. 183/2011 stabilisce che: “in ogni caso il numero dei soci professionisti e la partecipazione al capitale sociale dei professionisti deve essere tale da determinare la maggioranza di due terzi nelle deliberazioni o decisioni dei soci”.

Quindi, la domanda più corretta da porci è la seguente: i soci professionisti devono essere almeno i due/terzi per numero o quota di partecipazione al capitale sociale della S.t.p. oppure è sufficiente che detti soci detengano una maggioranza di due/terzi in relazione alle decisioni assembleari?

Secondo la mia opinione (appoggiata anche dagli Orientamenti del Comitato Triveneto Notaio) deve essere privilegiata l’interpretazione letterale del disposto normativo e, quindi, a prevalere è la tesi che considera determinante il possesso, da parte dei soci professionisti, della maggioranza nelle decisioni dei soci / delibere assembleari, a prescindere dalla partecipazione di ciascuno dei soci al capitale sociale e, quindi, dall’ammontare dei correlati conferimenti.

A tale riguardo è possibile affermare che ci sono numerosi strumenti statutari tramite i quali è possibile garantire diritti di voto più che proporzionali rispetto agli apporti di capitale sociale e, pertanto, dovrebbe considerarsi legittimamente vigente la S.t.p. in cui gli apporti di capitale sociale siano stati integralmente eseguiti dal socio non professionista (sia esso un parente o un soggetto terzo “finanziatore”), purché ci siano gli opportuni correttivi in merito alla ripartizione dei diritti di voto.

Anche questa circostanza denota ulteriormente l’importanza di avere uno statuto sociale / dei patti sociali predisposti con le opportune accortezze e i tecnicismi necessari.

Infatti, è necessario precisare che il venir meno della condizione di maggioranza rafforzata (nei diritti di voto) dei soci professionisti, “costituisce causa di scioglimento della società e il consiglio dell’ordine o collegio professionale presso il quale è iscritta la società procede alla cancellazione della stessa dall’albo, salvo che la società non abbia provveduto a ristabilire la prevalenza dei soci professionisti nel termine perentorio di sei mesi.

A meri fini di completezza, è altresì opportuno precisare che gli apporti finanziari che un socio non professionista può garantire alla società non passano solo e necessariamente dagli apporti a capitale sociale (con conseguente incidenza sui correlati diritti partecipativi) ma possono essere utilizzati anche strumenti alternativi quali finanziamenti soci o altri versamenti a patrimonio netto.

Secondo la sopramenzionata interpretazione, dunque, al ricorrere di determinati correttivi statutari potranno partecipare al capitale sociale della Stp (e quindi anche ai diritti economici connessi a tale quota, in termini di utili o proventi derivanti da una futura rivendita) soci non professionisti in misura anche superiore al solo 1/3.

Così facendo, la strada verso la condivisione – anche familiare (nel caso in cui figli o coniuge non siano professionisti) – dei proventi derivanti dall’attività odontoiatrica può essere seguita anche per il tramite di una Società tra professionisti.

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